Per chi deve sostenere l'esame il 5 Marzo :
PORTATE IL LAVORO EFFETTUATO DURANTE IL SEMINARIO IN FORMA CARTACEA.
Consiglio : non sottovalutate lo studio del testo del prof. De Santis. Aver seguito il Seminario non comporta" l'assoluzione per ignoranza" sugli argomenti teorici dell'esame.
A presto!
Blog del seminario tenuto dalla dr.ssa Daniela De Giorgi, cattedra di: Sociologia corso avanzato - Prof. Paolo De Nardis - alla Sapienza di Roma(facoltà di Sociologia)
domenica 28 febbraio 2010
mercoledì 17 febbraio 2010
METTIAMO ORDINE AI RICORDI .Per una revisione della Legge Basaglia
Mettiamo ordine ai ricordi.
Per una revisione della Legge Basaglia.
In questi giorni è iniziato l’esame in XII Commissione Parlamentare (Affari Sociali ) della proposta di legge Cicciòli sulla riforma psichiatrica. Dopo trent’anni dall’entrata in vigore della legge Basaglia del 1978, è nata l’esigenza di una nuova normativa in proposito. Con una tempistica ad “orologeria“, RAIUNO ha mandato in onda in due puntate il programma “La città dei matti”, che ci ha narrato la coraggiosa vita di Franco Basaglia e le vicissitudini della lotta che portò alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici in Italia. E’ stato un buon prodotto televisivo, ottima la regia e le interpretazioni. Le emozioni provocate dalla visione del filmato hanno riaperto la finestra del passato. Come eravamo a quei tempi? Riconosco che in questo tentativo sto mettendo mano a qualcosa di poco obiettivo come il vissuto personale, il ricordo. C’era nel filmato un romanticismo ed una leggerezza sconosciuta a quei tempi. Capita, ai prodotti culturali di tipo commemorativo, il rischio di cadere nella mitizzazione della storia raccontata! Sì, perché tutto erano quei tempi fuorchè romantici!
L’Italia stava vivendo uno dei momenti più difficili e conflittuali della sua breve vita democratica. Per collocare nel ricordo gli avvenimenti la legge Basaglia viene promulgata il 13 maggio del 1978, una settimana dopo il 6 Maggio, giorno dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. La battaglia per la chiusura dei manicomi si svolge tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni settanta, in un paese completamente in balìa culturalmente e politicamente dell’ideologia di sinistra. Il movimento “ antiistituzionale basagliano” si è, fin dagli esordi, legato ai vari movimenti di contestazione. La questione psichiatrica uscendo dall’ambito prettamente specialistico, fu collegata alla lotta di classe.
Vero è che l’ospedale psichiatrico in Italia, come in altre parti nel mondo, rispondeva alla metà degli anni ’50 a un paradigma psichiatrico costruito nell’800. La legge manicomiale italiana del 1904, voluta da Giolitti, confermò e reiterò la realizzazione di luoghi di forte controllo sociale generalizzato. Durante il fascismo, con il codice Rocco si istituì la iscrizione dei ricoverati nel casellario giudiziale, omologando i pazienti ai pregiudicati. Questo influenzerà il futuro delle istituzioni e la loro gestione. Metodi repressivi, trattamenti fortemente invasivi. L’elettroshock fu un’ invenzione italiana (Cerletti e Bini, 1938), si praticava lo shock insulinico ed altri metodi che provocavano la demolizione di aree cerebrali. I pazienti psichiatrici erano depauperati di ogni diritto, e sulla base di un “giudizio legale di non cittadinanza” fu possibile realizzare, all’interno del potere nazista, lo sterminio di circa 200.000 pazienti e “ l’eutanasia dolce” di altre decine di migliaia di ricoverati in Italia ed in Francia.
Nel clima di contestazione degli anni ’68-‘78 l’istituzione psichiatrica diviene uno dei riferimenti principali nella lotta all’antiautoritarismo, al rifiuto del mito della scienza naturale. Una “Lotta Simbolo“ diremo, proprio per il suo legame con i problemi di ordine pubblico, per la definizione del concetto e dei limiti della norma, per quei processi di mantenimento dell’assetto sociale su cui la norma si fondava. All’interno della lettura in chiave di ”lotta di classe“, fu denunciata la natura classista della segregazione manicomiale, ci fu la presa di coscienza, e quindi il rifiuto del ruolo repressivo e segregante che la società delegava ai medici psichiatri e ai diversi operatori del settore rispetto ai malati.
Questa era l’atmosfera politico culturale di quegli anni. Sull’onda emotiva dei ricordi, e per giustificare la mia scesa in campo rispetto al tema, vorrei testimoniare la mia esperienza. Nel 1976, arrivata alla conclusione del mio iter di esami presso la facoltà di Sociologia, chiesi di poter effettuare la mia tesi di Laurea sperimentale presso l’Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà di Roma. C’era grande necessità conoscitiva rispetto ai problemi psichiatrici nel territorio e partirono due ricerche grazie al lavoro di studenti, operatori del CIM, dell’Istituto di Psicologia, dell’Istituto Superiore della Sanità e dell’’Istituto di Psicometria. La ricerca a cui partecipai durò 6 mesi e fu effettuata al S. Maria della Pietà di Roma. La seconda fu svolta presso tutte le Cliniche Private Psichiatriche della Provincia di Roma. Questi lavori furono pubblicati nell’anno 1977 dalla rivista “ Il lavoro neuropsichiatrico” edito dall’Amm. Prov. di Roma. Presumo siano quindi gli ultimi dati, scientificamente rilevati, sul territorio della Provincia di Roma, prima dello smantellamento dell’O.P. Le finalità della ricerca erano quelle di effettuare una sorta di mappa territoriale dei ricoverati ed evidenziare i gruppi sociali più a rischio. Individuare attraverso quali canali si arrivava al ricovero, quanta richiesta di ospedalizzazione c’era e di che tipo. Quanto il tempo di permanenza, considerate diverse varianti. Non intendo ovviamente dilungarmi su una ricerca di trenta anni fa, ma è importante ricordare che i posti letto psichiatrici tra i due O.P (S.Maria della Pieta’ e Ceccano) i due Istituti per cronici (Guidonia e Genzano ) e le diciotto Cliniche psichiatriche convenzionate, erano 5858. Alcune delle ipotesi da cui eravamo partiti ebbero conferma, altre no. Complessivamente dalle diagnosi di dimissione di evinceva che il 43% dei ricoveri erano casi non prettamente psichiatrici che potevano essere gestiti dai servizi territoriali (handicap, epilessia, alcolismo, tossicodipendenza, arteriosclerosi, nevrosi, caratteropatie). Il 57% risultavano essere casi psichiatrici conclamati con diagnosi di psicosi, schizofrenia, sindrome maniaco depressiva. Non fu dimostrato l’utilizzo dell’ O.P come parcheggio-deposito del malato da parte della famiglia nei mesi estivi, anche rispetto agli anziani le percentuali dei ricoveri rimasero costanti. Fu dimostrato il rapporto di dipendenza che si creava tra Istituzione e paziente, sia nei malati cronici, sia nei non cronici (si pensi alle entrate e uscite continuative degli alcoolisti). L’O.P era vissuto come luogo protettivo dove il malato era accettato. Fu dimostrato il ruolo repressivo dell’Istituzione specialmente nei ricoveri effettuati tramite gli Ospedali Generali.
Questo sguardo verso il passato serve per storicizzare gli avvenimenti, collocarli nella giusta prospettiva politico culturale in cui sono avvenuti. Chiudere per sempre quel “tipo” di Ospedale Psichiatrico, con le caratteristiche che gli erano state demandate di assistenza, coercizione, repressione dei fenomeni devianti, è stata cosa giusta, come lo è stata la battaglia di quegli anni. Giusta ma ideologica. Con questo voglio dire che si buttò con un unico gesto l’acqua sporca e il bambino. Non si pensò ad un nuovo modello, un intervento terapeutico moderno, rispettoso dei diritti dell’individuo. Non si mise al primo posto il malato e quindi non si ripartì da questo. Si ripartì dal voler dimostrare che la malattia mentale non esisteva, che era il frutto delle contraddizioni della società capitalistica. In questa ottica la prematura morte di Franco Basaglia nel 1980 non semplificò la realizzazione della legge 180. Il gruppo dei basagliani rifiutò tutti i possibili progetti di modernizzazione che furono letti solo in chiave di riformismo politico volti a neutralizzare i conflitti sociali. Affermarono che la malattia mentale non si poteva diagnosticare sul piano organico in maniera precisa (vedi gli esperimenti di Rosenhan di cui Jervis nel 1975 riferisce nel suo “Manuale critico di psichiatria”) e quindi la follia rimaneva sempre una ipotesi, e quindi, un giudizio. Seguendo questa logica di negazione della malattia, anche nello sceneggiato “La città dei matti” ambientato a Trieste non c’era traccia dei malati gravi, di quel 57% che a Roma erano conclamatamente riconosciuti tali. Trieste città immune da psicosi ?! La malattia mentale è caratterizzata dalla non consapevolezza dello star male e da questo deriva la grande difficoltà della gestione del paziente. Il paziente non ha coscienza dei suoi problemi e quindi rifiuta le cure. Il guru teorico della rivoluzione psichiatrica Giovanni Jervis, che aveva voluto con sé Basaglia all’ Einaudi, che fu l’artefice del libro che rivelò Basaglia e le sue battaglie, dagli anni ‘80 in poi, quando si trattò di trasformare in realtà la legge 180, fu molto critico della sua realizzazione. Denunciò le migliaia di persone che furono abbandonate a se stesse e il dilagare degli ospedali privati sovvenzionati e non migliori di quelli pubblici. Si dissociò, quindi, e fece un percorso di profonda autocritica. Prima della sua scomparsa, nell’ultimo libro “La razionalità negata”, riflettè sulle speranze e le passioni ideologiche degli anni ‘70, ne prese le distanze e criticò l’antipsichiatria come atteggiamento antirazionalista e velleitario, che vede la follia come qualcosa di rivoluzionario.
In questo bel polverone di ideologia ed interessi, dove pullulano, oggi, tanti nuovi Istituti Psichiatrici privati ma convenzionati, dove i soldi pubblici vengono spesi senza i controlli che meriterebbero, senza bilanci sociali a testimoniare trasparenza ed efficienza, soli restano loro: i malati e le loro famiglie.
L’idea basagliana fondata sul già citato testo sacro dell’epoca “il Manuale Critico Di Psichiatria” di Jervis, vedeva la famiglia non solo come una struttura di riproduzione della forza lavoro ma come la fabbrica del fascismo quotidiano, della oppressione della donna, del terrorismo psicologico nei confronti dei bambini e dei giovani, dei valori dell’egoismo, della chiusura piccolo borghese nella dimensione del privato in contrapposizione ai valori del pubblico e del politico. La famiglia era, per i basagliani, depositaria naturale di un modello sociale borghese, di quelle norme sociali che il movimento anti-istituzionalista combatteva. Questa è la cultura responsabile delle scelte che furono fatte. Le famiglie sono state abbandonate e colpevolizzate. Generalizzando si perse di vista le tante sfaccettature dei problemi, dei bisogni e delle risposte. La famiglia fu vista come centro, nucleo del problema del disagio. Non si è creato un movimento di aiuto e solidarietà, anzi, gli si è negato tutto. La si è lasciata pericolosamente sola nella gestione dei propri malati, come testimoniano i tanti casi drammatici di violenza e morte, nella storia di questi anni. Gli si è negata persino l’informazione sul percorso terapeutico dei loro cari. In trent’anni anche l’istituto della famiglia italiana si è modificato profondamente. Una famiglia in difficoltà, quella di oggi, ripiegata su se stessa e in grave crisi rispetto alla trasmettibilità, nei confronti dei figli, di regole e valori. Anzi, da tutte le parti non si fa che puntare il dito sulla manchevolezza normativa della famiglia, della scuola e delle istituzioni in genere. Questo per testimoniare il bisogno urgente, inderogabile di una rivisitazione, di una riforma che tenga conto del clima culturale diverso, dei cambiamenti scientifici realizzati, delle nuove cure farmacologiche e psicoterapeutiche di cui dispone oggi la classe medica. Bisogna rivedere le normative riguardanti la malattia mentale. La “questione psichiatrica“ non riguarda solo una fascia di cittadini disperati e basta, ma tutti noi. Tutti noi cittadini italiani, elettori, che attendiamo di veder finalmente realizzata nel nostro amato Paese quella ”rivoluzione liberale” che ci è stata promessa. Impresa ardua, piena di ostacoli, che una cultura illiberale tenta in ogni momento di far cadere nel dimenticatoio. E’ una “ questione” non di principio ma di sostanza, legata alla vita, alla sopravvivenza di migliaia di famiglie che per troppo tempo, in nome di valori ideologici, hanno sofferto nel loro più “solitario privato”.
Dott. Daniela de giorgi
Per una revisione della Legge Basaglia.
In questi giorni è iniziato l’esame in XII Commissione Parlamentare (Affari Sociali ) della proposta di legge Cicciòli sulla riforma psichiatrica. Dopo trent’anni dall’entrata in vigore della legge Basaglia del 1978, è nata l’esigenza di una nuova normativa in proposito. Con una tempistica ad “orologeria“, RAIUNO ha mandato in onda in due puntate il programma “La città dei matti”, che ci ha narrato la coraggiosa vita di Franco Basaglia e le vicissitudini della lotta che portò alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici in Italia. E’ stato un buon prodotto televisivo, ottima la regia e le interpretazioni. Le emozioni provocate dalla visione del filmato hanno riaperto la finestra del passato. Come eravamo a quei tempi? Riconosco che in questo tentativo sto mettendo mano a qualcosa di poco obiettivo come il vissuto personale, il ricordo. C’era nel filmato un romanticismo ed una leggerezza sconosciuta a quei tempi. Capita, ai prodotti culturali di tipo commemorativo, il rischio di cadere nella mitizzazione della storia raccontata! Sì, perché tutto erano quei tempi fuorchè romantici!
L’Italia stava vivendo uno dei momenti più difficili e conflittuali della sua breve vita democratica. Per collocare nel ricordo gli avvenimenti la legge Basaglia viene promulgata il 13 maggio del 1978, una settimana dopo il 6 Maggio, giorno dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. La battaglia per la chiusura dei manicomi si svolge tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni settanta, in un paese completamente in balìa culturalmente e politicamente dell’ideologia di sinistra. Il movimento “ antiistituzionale basagliano” si è, fin dagli esordi, legato ai vari movimenti di contestazione. La questione psichiatrica uscendo dall’ambito prettamente specialistico, fu collegata alla lotta di classe.
Vero è che l’ospedale psichiatrico in Italia, come in altre parti nel mondo, rispondeva alla metà degli anni ’50 a un paradigma psichiatrico costruito nell’800. La legge manicomiale italiana del 1904, voluta da Giolitti, confermò e reiterò la realizzazione di luoghi di forte controllo sociale generalizzato. Durante il fascismo, con il codice Rocco si istituì la iscrizione dei ricoverati nel casellario giudiziale, omologando i pazienti ai pregiudicati. Questo influenzerà il futuro delle istituzioni e la loro gestione. Metodi repressivi, trattamenti fortemente invasivi. L’elettroshock fu un’ invenzione italiana (Cerletti e Bini, 1938), si praticava lo shock insulinico ed altri metodi che provocavano la demolizione di aree cerebrali. I pazienti psichiatrici erano depauperati di ogni diritto, e sulla base di un “giudizio legale di non cittadinanza” fu possibile realizzare, all’interno del potere nazista, lo sterminio di circa 200.000 pazienti e “ l’eutanasia dolce” di altre decine di migliaia di ricoverati in Italia ed in Francia.
Nel clima di contestazione degli anni ’68-‘78 l’istituzione psichiatrica diviene uno dei riferimenti principali nella lotta all’antiautoritarismo, al rifiuto del mito della scienza naturale. Una “Lotta Simbolo“ diremo, proprio per il suo legame con i problemi di ordine pubblico, per la definizione del concetto e dei limiti della norma, per quei processi di mantenimento dell’assetto sociale su cui la norma si fondava. All’interno della lettura in chiave di ”lotta di classe“, fu denunciata la natura classista della segregazione manicomiale, ci fu la presa di coscienza, e quindi il rifiuto del ruolo repressivo e segregante che la società delegava ai medici psichiatri e ai diversi operatori del settore rispetto ai malati.
Questa era l’atmosfera politico culturale di quegli anni. Sull’onda emotiva dei ricordi, e per giustificare la mia scesa in campo rispetto al tema, vorrei testimoniare la mia esperienza. Nel 1976, arrivata alla conclusione del mio iter di esami presso la facoltà di Sociologia, chiesi di poter effettuare la mia tesi di Laurea sperimentale presso l’Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà di Roma. C’era grande necessità conoscitiva rispetto ai problemi psichiatrici nel territorio e partirono due ricerche grazie al lavoro di studenti, operatori del CIM, dell’Istituto di Psicologia, dell’Istituto Superiore della Sanità e dell’’Istituto di Psicometria. La ricerca a cui partecipai durò 6 mesi e fu effettuata al S. Maria della Pietà di Roma. La seconda fu svolta presso tutte le Cliniche Private Psichiatriche della Provincia di Roma. Questi lavori furono pubblicati nell’anno 1977 dalla rivista “ Il lavoro neuropsichiatrico” edito dall’Amm. Prov. di Roma. Presumo siano quindi gli ultimi dati, scientificamente rilevati, sul territorio della Provincia di Roma, prima dello smantellamento dell’O.P. Le finalità della ricerca erano quelle di effettuare una sorta di mappa territoriale dei ricoverati ed evidenziare i gruppi sociali più a rischio. Individuare attraverso quali canali si arrivava al ricovero, quanta richiesta di ospedalizzazione c’era e di che tipo. Quanto il tempo di permanenza, considerate diverse varianti. Non intendo ovviamente dilungarmi su una ricerca di trenta anni fa, ma è importante ricordare che i posti letto psichiatrici tra i due O.P (S.Maria della Pieta’ e Ceccano) i due Istituti per cronici (Guidonia e Genzano ) e le diciotto Cliniche psichiatriche convenzionate, erano 5858. Alcune delle ipotesi da cui eravamo partiti ebbero conferma, altre no. Complessivamente dalle diagnosi di dimissione di evinceva che il 43% dei ricoveri erano casi non prettamente psichiatrici che potevano essere gestiti dai servizi territoriali (handicap, epilessia, alcolismo, tossicodipendenza, arteriosclerosi, nevrosi, caratteropatie). Il 57% risultavano essere casi psichiatrici conclamati con diagnosi di psicosi, schizofrenia, sindrome maniaco depressiva. Non fu dimostrato l’utilizzo dell’ O.P come parcheggio-deposito del malato da parte della famiglia nei mesi estivi, anche rispetto agli anziani le percentuali dei ricoveri rimasero costanti. Fu dimostrato il rapporto di dipendenza che si creava tra Istituzione e paziente, sia nei malati cronici, sia nei non cronici (si pensi alle entrate e uscite continuative degli alcoolisti). L’O.P era vissuto come luogo protettivo dove il malato era accettato. Fu dimostrato il ruolo repressivo dell’Istituzione specialmente nei ricoveri effettuati tramite gli Ospedali Generali.
Questo sguardo verso il passato serve per storicizzare gli avvenimenti, collocarli nella giusta prospettiva politico culturale in cui sono avvenuti. Chiudere per sempre quel “tipo” di Ospedale Psichiatrico, con le caratteristiche che gli erano state demandate di assistenza, coercizione, repressione dei fenomeni devianti, è stata cosa giusta, come lo è stata la battaglia di quegli anni. Giusta ma ideologica. Con questo voglio dire che si buttò con un unico gesto l’acqua sporca e il bambino. Non si pensò ad un nuovo modello, un intervento terapeutico moderno, rispettoso dei diritti dell’individuo. Non si mise al primo posto il malato e quindi non si ripartì da questo. Si ripartì dal voler dimostrare che la malattia mentale non esisteva, che era il frutto delle contraddizioni della società capitalistica. In questa ottica la prematura morte di Franco Basaglia nel 1980 non semplificò la realizzazione della legge 180. Il gruppo dei basagliani rifiutò tutti i possibili progetti di modernizzazione che furono letti solo in chiave di riformismo politico volti a neutralizzare i conflitti sociali. Affermarono che la malattia mentale non si poteva diagnosticare sul piano organico in maniera precisa (vedi gli esperimenti di Rosenhan di cui Jervis nel 1975 riferisce nel suo “Manuale critico di psichiatria”) e quindi la follia rimaneva sempre una ipotesi, e quindi, un giudizio. Seguendo questa logica di negazione della malattia, anche nello sceneggiato “La città dei matti” ambientato a Trieste non c’era traccia dei malati gravi, di quel 57% che a Roma erano conclamatamente riconosciuti tali. Trieste città immune da psicosi ?! La malattia mentale è caratterizzata dalla non consapevolezza dello star male e da questo deriva la grande difficoltà della gestione del paziente. Il paziente non ha coscienza dei suoi problemi e quindi rifiuta le cure. Il guru teorico della rivoluzione psichiatrica Giovanni Jervis, che aveva voluto con sé Basaglia all’ Einaudi, che fu l’artefice del libro che rivelò Basaglia e le sue battaglie, dagli anni ‘80 in poi, quando si trattò di trasformare in realtà la legge 180, fu molto critico della sua realizzazione. Denunciò le migliaia di persone che furono abbandonate a se stesse e il dilagare degli ospedali privati sovvenzionati e non migliori di quelli pubblici. Si dissociò, quindi, e fece un percorso di profonda autocritica. Prima della sua scomparsa, nell’ultimo libro “La razionalità negata”, riflettè sulle speranze e le passioni ideologiche degli anni ‘70, ne prese le distanze e criticò l’antipsichiatria come atteggiamento antirazionalista e velleitario, che vede la follia come qualcosa di rivoluzionario.
In questo bel polverone di ideologia ed interessi, dove pullulano, oggi, tanti nuovi Istituti Psichiatrici privati ma convenzionati, dove i soldi pubblici vengono spesi senza i controlli che meriterebbero, senza bilanci sociali a testimoniare trasparenza ed efficienza, soli restano loro: i malati e le loro famiglie.
L’idea basagliana fondata sul già citato testo sacro dell’epoca “il Manuale Critico Di Psichiatria” di Jervis, vedeva la famiglia non solo come una struttura di riproduzione della forza lavoro ma come la fabbrica del fascismo quotidiano, della oppressione della donna, del terrorismo psicologico nei confronti dei bambini e dei giovani, dei valori dell’egoismo, della chiusura piccolo borghese nella dimensione del privato in contrapposizione ai valori del pubblico e del politico. La famiglia era, per i basagliani, depositaria naturale di un modello sociale borghese, di quelle norme sociali che il movimento anti-istituzionalista combatteva. Questa è la cultura responsabile delle scelte che furono fatte. Le famiglie sono state abbandonate e colpevolizzate. Generalizzando si perse di vista le tante sfaccettature dei problemi, dei bisogni e delle risposte. La famiglia fu vista come centro, nucleo del problema del disagio. Non si è creato un movimento di aiuto e solidarietà, anzi, gli si è negato tutto. La si è lasciata pericolosamente sola nella gestione dei propri malati, come testimoniano i tanti casi drammatici di violenza e morte, nella storia di questi anni. Gli si è negata persino l’informazione sul percorso terapeutico dei loro cari. In trent’anni anche l’istituto della famiglia italiana si è modificato profondamente. Una famiglia in difficoltà, quella di oggi, ripiegata su se stessa e in grave crisi rispetto alla trasmettibilità, nei confronti dei figli, di regole e valori. Anzi, da tutte le parti non si fa che puntare il dito sulla manchevolezza normativa della famiglia, della scuola e delle istituzioni in genere. Questo per testimoniare il bisogno urgente, inderogabile di una rivisitazione, di una riforma che tenga conto del clima culturale diverso, dei cambiamenti scientifici realizzati, delle nuove cure farmacologiche e psicoterapeutiche di cui dispone oggi la classe medica. Bisogna rivedere le normative riguardanti la malattia mentale. La “questione psichiatrica“ non riguarda solo una fascia di cittadini disperati e basta, ma tutti noi. Tutti noi cittadini italiani, elettori, che attendiamo di veder finalmente realizzata nel nostro amato Paese quella ”rivoluzione liberale” che ci è stata promessa. Impresa ardua, piena di ostacoli, che una cultura illiberale tenta in ogni momento di far cadere nel dimenticatoio. E’ una “ questione” non di principio ma di sostanza, legata alla vita, alla sopravvivenza di migliaia di famiglie che per troppo tempo, in nome di valori ideologici, hanno sofferto nel loro più “solitario privato”.
Dott. Daniela de giorgi
mercoledì 10 febbraio 2010
Charles-Louis de Secondat, baron de La Brède et de Montesquieu
«pour qu’on ne puisse pas abuser du pouvoir, il faut que, par la disposition de choses, le pouvoir arrête le pouvoir» L’Espirit des lois, capitolo VI del libro XI, La Constitution d’Angleterre, 1748.
Solo un potere che si può contrapporre ad un potere prevaricatore può evitare le descriminazioni.
Solo un potere che si può contrapporre ad un potere prevaricatore può evitare le descriminazioni.
martedì 9 febbraio 2010
Un linguaggio di genere : il Nu Shu- Il linguaggio segreto.
La condizione della donna cinese fu, come quasi dovunque nei secoli, una condizione di assoggettamento e spesso di schiavitù. Considerata essere inferiore atta solo all'assistenza e alla procreazione.
Una storia "al femminile " che, ancora non è stata pienamente letta e scritta ,e che spesso, preferiamo buttarci alle spalle ,nel cercare di andare avanti nell'emancipazione dell'oggi.
Un'emancipazione che ci pone difronte ai vari questiti del "come" realizzarla , specialmente nel rispetto delle "nostre" diversità.
Ma il passato siamo comunque noi...e.. il" filo rosa della storia"....a volte ci riprende e ci commuove..: il Nu Shu.
Un linguaggio segreto solo femminile. All'oggi l'unica lingua di genere della storia dell'umanità.
Spesso solo cantato, solo "ricamato" sulle vesti delle povere bambine che andavano "spose schiave" a uomini e alle loro famiglie.
Donne, ovviamente, analfabete, che si tramandano vocalmente un linguaggio segreto , un linguaggio di ribellione, di conforto, di aiuto e di rassegnazione.
Un linguaggio sicuramente di " sorellanza ": era difatti un linguaggio che univa solo le donne, solo le sorelle, le figlie con le madri e le nonne.
Spesso frasi scritte , ricamate come dei disegni sul corredo delle disgraziate.
Sapevano bene le donne a quale solitudine di vita le "spose bambine" sarebbero andate incontro, quanto dolore e sofferenza, e i loro messaggi sul corredo sarebbero stati l'unico momento di conforto, l'unico lembo su cui far cadere le loro disperate lacrime, la loro soffocata ribellione.
Frasi e canti con cui la comunità di donne piangeva la sorella che sarebbe a breve mancata , persa, forse mai più riabbracciata.
Un mondo solidale ed emotivo , il mondo dei sentimenti , il mondo delle donne.
Nessun uomo è mai entrato in questo mondo di donna cinese fatto di suoni e grafici .Ancora oggi c'è una sola scuola che tramanda il linguaggio e solo a donne.
Durante la Rivoluzione Culturale, Mao Zedong , pensando che fosse un linguaggio utilizzato per lo spionaggio interno ed internazionale , lo ha "fortemente contrastato" vietandone l'uso.
Non oso neppure immaginare quanto sangue femminile fu versato...
Una storia "al femminile " che, ancora non è stata pienamente letta e scritta ,e che spesso, preferiamo buttarci alle spalle ,nel cercare di andare avanti nell'emancipazione dell'oggi.
Un'emancipazione che ci pone difronte ai vari questiti del "come" realizzarla , specialmente nel rispetto delle "nostre" diversità.
Ma il passato siamo comunque noi...e.. il" filo rosa della storia"....a volte ci riprende e ci commuove..: il Nu Shu.
Un linguaggio segreto solo femminile. All'oggi l'unica lingua di genere della storia dell'umanità.
Spesso solo cantato, solo "ricamato" sulle vesti delle povere bambine che andavano "spose schiave" a uomini e alle loro famiglie.
Donne, ovviamente, analfabete, che si tramandano vocalmente un linguaggio segreto , un linguaggio di ribellione, di conforto, di aiuto e di rassegnazione.
Un linguaggio sicuramente di " sorellanza ": era difatti un linguaggio che univa solo le donne, solo le sorelle, le figlie con le madri e le nonne.
Spesso frasi scritte , ricamate come dei disegni sul corredo delle disgraziate.
Sapevano bene le donne a quale solitudine di vita le "spose bambine" sarebbero andate incontro, quanto dolore e sofferenza, e i loro messaggi sul corredo sarebbero stati l'unico momento di conforto, l'unico lembo su cui far cadere le loro disperate lacrime, la loro soffocata ribellione.
Frasi e canti con cui la comunità di donne piangeva la sorella che sarebbe a breve mancata , persa, forse mai più riabbracciata.
Un mondo solidale ed emotivo , il mondo dei sentimenti , il mondo delle donne.
Nessun uomo è mai entrato in questo mondo di donna cinese fatto di suoni e grafici .Ancora oggi c'è una sola scuola che tramanda il linguaggio e solo a donne.
Durante la Rivoluzione Culturale, Mao Zedong , pensando che fosse un linguaggio utilizzato per lo spionaggio interno ed internazionale , lo ha "fortemente contrastato" vietandone l'uso.
Non oso neppure immaginare quanto sangue femminile fu versato...
domenica 7 febbraio 2010
Democrazia?
Sono diverse le spiegazioni sull’assenza di democrazia in oriente.
Nel pensiero degli antichi si usava fare una comparazione tra occidente libero e oriente schiavo!
Già all’epoca dei Greci in occidente i cittadini erano assoggettati alla legge anche se questa era una legge di privilegiati perché esisteva la schiavitù si andava ad affermare per la prima volta nella storia il dominio della legge e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge,mentre in oriente vi era il despota padrone assoluto della vita e dei beni dei sudditi.
La nascita della democrazia in occidente è frutto non solo di un particolare ethos religioso che ha permesso lo sviluppo del capitalismo “…..il guadagno deve servire a produrre altro guadagno e la concezione della propria professione come beruf …” ma anche dell’affermarsi di alcuni diritti tra i quali il diritto di proprietà. Proprio la mancanza di diritti di proprietà è la causa della rovina economica dei popoli orientali e della loro condanna a vivere, sotto il dispotismo, in una condizione di miseria. Nel medioevo in Europa vi era una società senza stato e anarchica che permise la nascita dei primi liberi comuni, chiamati da Weber “le crisalidi del capitalismo”, in grado di opporsi al potere centrale, questa loro autonomia è alla base della nascita e dello sviluppo di una società civile intesa come società distributrice di diritti. L’ethos religioso dell’oriente contrastava lo sviluppo economico del razionalismo tipico del capitalismo ed i popoli si trovavano di fronte un potere troppo forte in grado di sopprimere ogni diritto e libertà. “Nel 1184 il viaggiatore Jubar, giunto in Palestina, noto che i suoi correligiosi preferivano vivere sotto il dominio degli infedeli”.
Successivamente, in occidente, nascono gli stati nazioni e si andava ad affermare quello che il Machiavelli chiama il “libero vivere”, abbiamo la Magna Charta inglese del 1215, la Gloriosa rivoluzione del 1689, la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, la Rivoluzione Francese del 1789 ecc., tutto ciò accade in occidente. Abbiamo la Democrazia perchè abbiamo una storia diversa e non perchè siamo diversi. La nostra è una democrazia anche se Schmitt la definisce negli anni 30 un grande falsità dovuta ad una scelta politica che fa di essa una tirannia mascherata.
Nel pensiero degli antichi si usava fare una comparazione tra occidente libero e oriente schiavo!
Già all’epoca dei Greci in occidente i cittadini erano assoggettati alla legge anche se questa era una legge di privilegiati perché esisteva la schiavitù si andava ad affermare per la prima volta nella storia il dominio della legge e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge,mentre in oriente vi era il despota padrone assoluto della vita e dei beni dei sudditi.
La nascita della democrazia in occidente è frutto non solo di un particolare ethos religioso che ha permesso lo sviluppo del capitalismo “…..il guadagno deve servire a produrre altro guadagno e la concezione della propria professione come beruf …” ma anche dell’affermarsi di alcuni diritti tra i quali il diritto di proprietà. Proprio la mancanza di diritti di proprietà è la causa della rovina economica dei popoli orientali e della loro condanna a vivere, sotto il dispotismo, in una condizione di miseria. Nel medioevo in Europa vi era una società senza stato e anarchica che permise la nascita dei primi liberi comuni, chiamati da Weber “le crisalidi del capitalismo”, in grado di opporsi al potere centrale, questa loro autonomia è alla base della nascita e dello sviluppo di una società civile intesa come società distributrice di diritti. L’ethos religioso dell’oriente contrastava lo sviluppo economico del razionalismo tipico del capitalismo ed i popoli si trovavano di fronte un potere troppo forte in grado di sopprimere ogni diritto e libertà. “Nel 1184 il viaggiatore Jubar, giunto in Palestina, noto che i suoi correligiosi preferivano vivere sotto il dominio degli infedeli”.
Successivamente, in occidente, nascono gli stati nazioni e si andava ad affermare quello che il Machiavelli chiama il “libero vivere”, abbiamo la Magna Charta inglese del 1215, la Gloriosa rivoluzione del 1689, la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, la Rivoluzione Francese del 1789 ecc., tutto ciò accade in occidente. Abbiamo la Democrazia perchè abbiamo una storia diversa e non perchè siamo diversi. La nostra è una democrazia anche se Schmitt la definisce negli anni 30 un grande falsità dovuta ad una scelta politica che fa di essa una tirannia mascherata.
Sono pienamente d'accordo. Infatti ogni popolo come ogni singolo individuo ha un suo relativismo culturale. Il problema forse è legato al fatto che in molte culture ci sono delle forti disuguaglianze sociali che vengono condivise perchè viste come idonee per il patrimonio valoriale.Per diversi motivi è difficile infatti combattere certe problematiche. Uno è appunto lo stesso relativismo culturale.
All'interno di alcune popolazioni però potrebbero anche esserci delle forme di ribellione che combattano contro quel relativismo per una nuova forma di sistema sociale che possa escludere le disuguaglianze.
In pratica bisognerebbe capire chi vuole essere aiutato, come e perchè.
All'interno di alcune popolazioni però potrebbero anche esserci delle forme di ribellione che combattano contro quel relativismo per una nuova forma di sistema sociale che possa escludere le disuguaglianze.
In pratica bisognerebbe capire chi vuole essere aiutato, come e perchè.
sabato 6 febbraio 2010
Contributo al lavoro del settimo gruppo sul mobbing
La violenza psicologica sul lavoro o, come si preferisce dire oggi con un termine di forte appeal massmediatico, mobbing, rappresenta un fenomeno antico quanto le organizzazioni. Da sempre legato alla sfera delle relazioni interpersonali, in genere non investiva formalmente l'intero management dell'impresa, si consumava piuttosto nel rapporto capo/collaboratore, progressivamente estromesso dal ciclo produttivo e depauperato della sua immagine professionale e personale. Il cambiamento organizzativo che ha attraversato l'Italia nel decennio scorso con il suo carico di "esuberi", costosi da ri-collocare e di "risorse umane" che sono diventate un peso, ha fatto crescere geometricamente i numeri del mobbing che d'improvviso si è configurato come un'emergenza sociale. La presente brochure si colloca nell'ambito del Progetto Strategico (2000) che il Ministero della Salute ha voluto dedicare alla prevenzione dei rischi per la salute negli ambienti di vita e di lavoro e intende richiamare l'attenzione degli operatori sanitari (medico di famiglia, psichiatra, psicologo, ecc.), in quanto interlocutori privilegiati di coloro che si trovano a soffrire personalmente le costrittività di una struttura organizzativa, per diversi motivi (cambiamento organizzativo, mancanza di una politica del personale, stili di leadership inadeguati, ecc.), disfunzionale. Un richiamo particolare lo rivolgiamo al medico del lavoro, perché è nell'ambiente di lavoro che nascono e si mantengono le azioni stressogene mobbizzanti e perché qualsiasi sostegno alle vittime è destinato a vanificarsi, se il soggetto è costretto a rimanere (o a tornare) in una condizione di lavoro dove nulla cambia. Se non in peggio.
Presentazione della broshure Ispesl sui disagi psicosociali
Spunto dal lavoro dell'ottavo gruppo
Tra le tante definizioni di Globalizzazione è molto interessante quella economica con l’immagine dell’uomo che andando a lavoro non facendo nulla di particolare viene a contatto con i prodotti di tantissimi paesi diversi per cultura e storia.
Proseguendo la mia ricerca sul Medio Oriente ho trovato alcuni documenti che parlano degli stupri e delle torture sulle donne e sui bambini in Iraq da parte di alcuni soldati dell'esercito americano.
Vi assicuro che non è stato facile trovare delle notizie su questo argomento!
http://www.globalwomenstrike.net/Italian04/IraqRapeStatement.htm
http://www.ecn.org/reds/donne/mondo/mondo0406stupriIraq.html
Consiglio a tutti di vedere il film di Brian De Palma :"Redacted" del 2007.
Iraq. Durante la guerra, quattro soldati del contingente americano, prima stuprano, poi ammazzano una ragazza irachena e tre suoi familiari.
Tratto da un fatto realmente accaduto.
Vi assicuro che non è stato facile trovare delle notizie su questo argomento!
http://www.globalwomenstrike.net/Italian04/IraqRapeStatement.htm
http://www.ecn.org/reds/donne/mondo/mondo0406stupriIraq.html
Consiglio a tutti di vedere il film di Brian De Palma :"Redacted" del 2007.
Iraq. Durante la guerra, quattro soldati del contingente americano, prima stuprano, poi ammazzano una ragazza irachena e tre suoi familiari.
Tratto da un fatto realmente accaduto.
Credo che il concetto di democrazia non abbia lo stesso significato per tutti i popoli ed è proprio questo il problema.
Le popolazioni occidentali hanno un'immagine di democrazia completamente differente da quella orientale, che ancora oggi sembra inesistente.
Il punto è che non si può definire un perfetto concetto di democrazia. Essa può esistere anche laddove sembra che non ci sia.
Vorrei precisare...Non credo che il rifiuto dei popoli orientali sia legato all'affermazione della sovranità popolare ma ad una visione occidentale della stessa democrazia.
Le popolazioni occidentali hanno un'immagine di democrazia completamente differente da quella orientale, che ancora oggi sembra inesistente.
Il punto è che non si può definire un perfetto concetto di democrazia. Essa può esistere anche laddove sembra che non ci sia.
Vorrei precisare...Non credo che il rifiuto dei popoli orientali sia legato all'affermazione della sovranità popolare ma ad una visione occidentale della stessa democrazia.
IL SENSO DEL CAMMINO...
Un percorso è proprio questo!!
E' un cammino lastricato ora di cose buone ,ora purtroppo di cose cattive, come la vita di ognuno di noi.
Camminando l'umanità sbaglia e valuta, e... cresce...come noi!!
Chi di noi non si è chiesto da dove è uscito fuori l'orrore dei forni nazisti...possibile che fossero esseri umani, con famiglie, bambini, madri, padri ??!! E le foibe? E i massacri e le violenze di massa etniche !?? Quanti cattivi esempi!! Questa civiltà occidentale!!!.. Ma accanto a questo ...quanti sacrifici, quanto amore e quanta cultura!
Come per un individuo ,.. la crescita di una civiltà e' nel sapersi guardare dentro, analizzare e essere capace di trasformarsi in qualcosa di diverso che superi e si evolva dal passato. Solo con la libertà e la democrazia dei partecipanti è possibile la trasformazione e la crescita.
....Ma i concetti di libertà e democrazia di uomini e donne,la sua realizzazione vera, non è un regalo che piove dal cielo...è un arrivo...difficile..da difendere..!!.
E' un cammino lastricato ora di cose buone ,ora purtroppo di cose cattive, come la vita di ognuno di noi.
Camminando l'umanità sbaglia e valuta, e... cresce...come noi!!
Chi di noi non si è chiesto da dove è uscito fuori l'orrore dei forni nazisti...possibile che fossero esseri umani, con famiglie, bambini, madri, padri ??!! E le foibe? E i massacri e le violenze di massa etniche !?? Quanti cattivi esempi!! Questa civiltà occidentale!!!.. Ma accanto a questo ...quanti sacrifici, quanto amore e quanta cultura!
Come per un individuo ,.. la crescita di una civiltà e' nel sapersi guardare dentro, analizzare e essere capace di trasformarsi in qualcosa di diverso che superi e si evolva dal passato. Solo con la libertà e la democrazia dei partecipanti è possibile la trasformazione e la crescita.
....Ma i concetti di libertà e democrazia di uomini e donne,la sua realizzazione vera, non è un regalo che piove dal cielo...è un arrivo...difficile..da difendere..!!.
Relativismo culturale?
Negli ultimi decenni si è affermata una versione estrema di quello che chiamiamo “relativismo culturale” ossia quell’approccio filosofico per cui tutti i fenomeni culturali sono uguali e che rischia di dare validità ad una cultura solo entro i propri confini facendo di essa un mondo chiuso e non comunicante con l’esterno. Inoltre questo relativismo che non ha consentito di esprimere un giudizio di valore sulle diverse istituzioni ha portato a non condannare gli orrori commessi per secoli dalla nostra civiltà la cui definizioni sui generis è quella di una civiltà dei diritti e delle libertà, quest’ultimi testimoniano la superiorità della nostra civiltà sulle altre. Ma il non aver condannato ad esempio il rogo di eretici ed omosessuali praticato per secoli dalla nostra civiltà ha impedito di apprezzare i progressi materiali e morali da essa compiuti. Se non riconosciamo i nostri sbagli come possiamo migliorare e comprendere gli altri?
informazione sul 4° Gruppo - IL PERCORSO DELL'UMANITA'
Il Quarto Gruppo è l'unico che non ha portato a termine il suo impegno.
Il Gruppo aveva preso il lavoro su : Rapporto su Identità e Comunità rispetto alla Globalizzazione. Gli immigrati di seconda Generazione.
Devo dire che l'argomento era il più " Nuovo " degli altri. Anzi spero che sia il mio prossimo impegno professionale!!
L'unico elemento del gruppo che, da sola, ha portato avanti il suo lavoro, quindi non più come gruppo, ma isolatamente, è Francesca Ferrante. Che quindi farà l'esame con tutti gli altri frequentatori del Seminario,quando riterrà opportuno.
Ovviamente il tema ,che non è stato trattato, sarà ripreso alla ripresa del Seminario, anche perchè è proprio il "tema" la sfida verso il futuro.
Riuscire a capire il nesso tra identità personale - nazionale e Comunità nazionale e comunità globale, sarà proprio "il problema " da risolvere. Problema che implica rapporti culturali, religiosi, ma non dimentichiamolo, anche, tornando alle origini, un approccio all' inconscio collettivo junghiano.
COMUNITA' NAZIONALE E GLOBALIZZAZIONE - IL PERCORSO -
Del resto più andiamo avanti nel percorso come " Umanità " quindi come "Esseri Umani abitanti lo spazio terra" e più si fà viva l'esigenza , nei più illuminati ,di considerare questo nostro pianeta come un luogo dove sperimentare, sempre di più, un comune impegno verso atteggiamenti di non "Separazione" pur nel rispetto delle tante diversità. I nodi culturali legati quindi all' integrazione e al confronto tra le varie identità locali, nazionali, e il "nuovo" rappresentato dalla globalizzazione.
Il rispetto delle diversità, ma anche la determinazione di non voler tornare indietro, rispetto a percorsi che alcune comunità rispetto ad altre , hanno già compiuto.
La messa in discussione di quel " relativismo culturale " che tende a lasciare le cose come sono, in nome di un rispetto che sa più o di impotenza o di complesso di colpa inespresso.
La soluzione nessuno ancora la conosce, ma sicuramente non passa attraverso l'indifferenza, il rispetto dei "grandi principi teorici" delle " belle costruzioni teoriche e intellettuali " che soddisfano tanto il nostro ego, ma che spesso ci lasciano fermi, inermi, rispetto al fare di tutti i giorni.
Pubblico comunque il lavoro singolo di Francesca Ferrante.
http://sociologi.altervista.org/Gli_immigrati_di_seconda_generazione_francesca_ferrante_1_.pdf
Il Gruppo aveva preso il lavoro su : Rapporto su Identità e Comunità rispetto alla Globalizzazione. Gli immigrati di seconda Generazione.
Devo dire che l'argomento era il più " Nuovo " degli altri. Anzi spero che sia il mio prossimo impegno professionale!!
L'unico elemento del gruppo che, da sola, ha portato avanti il suo lavoro, quindi non più come gruppo, ma isolatamente, è Francesca Ferrante. Che quindi farà l'esame con tutti gli altri frequentatori del Seminario,quando riterrà opportuno.
Ovviamente il tema ,che non è stato trattato, sarà ripreso alla ripresa del Seminario, anche perchè è proprio il "tema" la sfida verso il futuro.
Riuscire a capire il nesso tra identità personale - nazionale e Comunità nazionale e comunità globale, sarà proprio "il problema " da risolvere. Problema che implica rapporti culturali, religiosi, ma non dimentichiamolo, anche, tornando alle origini, un approccio all' inconscio collettivo junghiano.
COMUNITA' NAZIONALE E GLOBALIZZAZIONE - IL PERCORSO -
Del resto più andiamo avanti nel percorso come " Umanità " quindi come "Esseri Umani abitanti lo spazio terra" e più si fà viva l'esigenza , nei più illuminati ,di considerare questo nostro pianeta come un luogo dove sperimentare, sempre di più, un comune impegno verso atteggiamenti di non "Separazione" pur nel rispetto delle tante diversità. I nodi culturali legati quindi all' integrazione e al confronto tra le varie identità locali, nazionali, e il "nuovo" rappresentato dalla globalizzazione.
Il rispetto delle diversità, ma anche la determinazione di non voler tornare indietro, rispetto a percorsi che alcune comunità rispetto ad altre , hanno già compiuto.
La messa in discussione di quel " relativismo culturale " che tende a lasciare le cose come sono, in nome di un rispetto che sa più o di impotenza o di complesso di colpa inespresso.
La soluzione nessuno ancora la conosce, ma sicuramente non passa attraverso l'indifferenza, il rispetto dei "grandi principi teorici" delle " belle costruzioni teoriche e intellettuali " che soddisfano tanto il nostro ego, ma che spesso ci lasciano fermi, inermi, rispetto al fare di tutti i giorni.
Pubblico comunque il lavoro singolo di Francesca Ferrante.
http://sociologi.altervista.org/Gli_immigrati_di_seconda_generazione_francesca_ferrante_1_.pdf
Commento a Luigi Fattorini
Caro Luigi di seguito il Link sulle agevolazioni doganali e di sicuro non mi riferivo ai paesi africani ma asiatici che credo che siano la causa principale della disoccupazione in settori storici dell'industria italiana come il tessile. Agevolazioni che avvengono anche attraverso accordi bilaterali per favorire le nostre esportazioni verso quei mercati che di sicuro non creano occupazione ma la delocalizzazione delle nostre aziende.
http://europa.eu/legislation_summaries/external_trade/r11020_it.htm
Contributo al lavoro del Quinto Gruppo “globalizzazione e famiglia - evoluzione dell'istituzione ,dei valori, leggi a tutela.-famiglia e socializzazio
Per socializzazione primaria si intende l’apprendimento, l’interiorizzazione di competenze del bambino nei suoi primi anni di vita nel rapporto madre/bambino. Per Froid si tratta dell’apprendimento degli oggetti, per Parsons si tratta dell’apprendimento dell’insieme delle relazioni sociali che costituiscono i diversi ambienti in cui il bambino si viene a trovare nei diversi momenti della sua vita. Per socializzazione secondaria si intende l’apprendimento dei ruoli specializzati legati alla scuola, al lavoro ecc.
Per risocializzazione si intende tutti quei processi della vita adulta che possono portare ad un nuovo apprendimento o al mutamento completo di quanto appreso con la socializzazione primaria come nel caso di una conversione religiosa. Circa la socializzazione primaria se per Parsons il bambino apprende dal ruolo del padre le norme universali e specializzate e dal ruolo della madre le norme diffuse e particolari, per norme intendo comportamenti approvati o disapprovati, oggi questo concetto si può ritenere ancora valido? cosa può apprendere il bambino da genitori sempre più assenti a causa del lavoro e sempre più distanti a causa dei sempre più frequenti divorzi?
A senso una legge che tutela la concezione di una famiglia estranea ai nostri tempi?
Oggi capita anche che una coppia divorzi solo per evitare di pagare più tasse. Il matrimonio così come lo conosciamo non ha come scopo principale l’erogazione di diritti e dunque penso che per altri casi si potrebbero trovare altre soluzioni che pur dando gli stessi diritti rappresenterebbero meglio le altre possibili situazioni, l’argomento è spinoso, con ciò voglio dire se una mela cessasse per noi di chiamarsi mela noi continueremmo a concepirla come mela? perché un simbolo deve perdere il suo nome che gli da un preciso significato anche se non dovesse più esistere.
Leggendo comunicazione in famiglia ho l’impressione che i genitori per comunicare con i propri figli devono essere costretti a diventare degli psicologi anche se si afferma il contrario nel testo, ognuno è figlio del suo tempo e le responsabilità al massimo sono al 50% in condizioni normali, per me i giovani comunicano o meglio esprimono sempre meno i loro sentimenti perché deviati dai falsi messaggi della tv e della società, perché privi di ideali in cui credere.
Il matrimonio misto è l’espressione di una società sempre più interculturale favorita dalla globalizzazione.
Per risocializzazione si intende tutti quei processi della vita adulta che possono portare ad un nuovo apprendimento o al mutamento completo di quanto appreso con la socializzazione primaria come nel caso di una conversione religiosa. Circa la socializzazione primaria se per Parsons il bambino apprende dal ruolo del padre le norme universali e specializzate e dal ruolo della madre le norme diffuse e particolari, per norme intendo comportamenti approvati o disapprovati, oggi questo concetto si può ritenere ancora valido? cosa può apprendere il bambino da genitori sempre più assenti a causa del lavoro e sempre più distanti a causa dei sempre più frequenti divorzi?
A senso una legge che tutela la concezione di una famiglia estranea ai nostri tempi?
Oggi capita anche che una coppia divorzi solo per evitare di pagare più tasse. Il matrimonio così come lo conosciamo non ha come scopo principale l’erogazione di diritti e dunque penso che per altri casi si potrebbero trovare altre soluzioni che pur dando gli stessi diritti rappresenterebbero meglio le altre possibili situazioni, l’argomento è spinoso, con ciò voglio dire se una mela cessasse per noi di chiamarsi mela noi continueremmo a concepirla come mela? perché un simbolo deve perdere il suo nome che gli da un preciso significato anche se non dovesse più esistere.
Leggendo comunicazione in famiglia ho l’impressione che i genitori per comunicare con i propri figli devono essere costretti a diventare degli psicologi anche se si afferma il contrario nel testo, ognuno è figlio del suo tempo e le responsabilità al massimo sono al 50% in condizioni normali, per me i giovani comunicano o meglio esprimono sempre meno i loro sentimenti perché deviati dai falsi messaggi della tv e della società, perché privi di ideali in cui credere.
Il matrimonio misto è l’espressione di una società sempre più interculturale favorita dalla globalizzazione.
venerdì 5 febbraio 2010
criminalità disoccupazione mondializzazione
Intendo rispondere al post di Salvatore sul tema “criminalità e disoccupazione” cercando di cogliere lo spirito di una “sana cultura della discussione” che sollecita la Dott.ssa De Giorgi.
Ritengo che la disoccupazione ed il lavoro precario in Italia sono fenomeni spiegabili da una molteplicità di fattori di difficile “generalizzabilità” poiché talvolta si spiegano dalla globalizzazione del mercato che non distingue le merci dalla forza lavoro, talaltra da fenomeni locali, primo fra tutti la criminalità organizzata. E’ indubbio che lasciare il controllo del territorio ad organizzazioni criminali che impongono le loro tasse sotto forma di “pizzo” e le loro leggi che prevedono sentenze di morte nei confronti di chi non si adegua, determina una forte depressione economica con conseguenti alti tassi di disoccupazione. La forza lavoro sottopagata che viene dai paesi del terzo mondo esiste quasi esclusivamente nei territori del sud Italia dove è la mafia che regolamenta il mercato del lavoro. Sono emblematici i recenti fatti di Rosarno dove, secondo fonti giornalistiche ben informate, sembra sia stata decisa la sostituzione della manodopera sottopagata dei neri africani con quella dei “comunitari” romeni ai quali si può più facilmente fare dei contratti a progetto di 3 ore di lavoro al giorno facendogliene poi lavorare 12-14. In uno stato di diritto questo non sarebbe possibile in quanto gli enti preposti al controllo non lo consentirebbero, ma chi fa questi controlli in Calabria? Non si può certo delegare tutto alla magistratura ed alle forze dell’ordine, le regole della civile convivenza sono prima di tutto una questione culturale che si forma con la buona politica e con l’efficienza di tutte le istituzioni pubbliche, prime fra tutte quelle scolastiche.
Ho appena finito di leggere la ricerca di Salvatore nella parte in cui spiega il funzionamento della banca mondiale. I paesi sottosviluppati vengono finanziati purchè adeguino le loro leggi statali ai principi del liberismo, gli si richiede la massima fiducia alle leggi del mercato che finiranno per migliorare la vita di tutti. Io ricordo molto bene ciò che veniva prospettato nel Novembre del 1996 al congresso mondiale della Fao a Roma:”riduzione del 50% delle persone sottoalimentate nel mondo”. Qualcuno già allora non credeva alla possibilità di realizzazione di questi propositi ed in effetti oggi ci ritroviamo con un mondo più affamato e disperato di allora. E’ evidente che le ricette della banca mondiale improntate sul liberismo più integralista non hanno giovato a nessuno, nemmeno al benessere della maggioranza delle persone nei paesi occidentali sviluppati. Io non sono a conoscenza delle agevolazioni doganali dei paesi sottosviluppati di cui parla Salvatore ma mi sembra un po’ paradossale indicarle come la causa della disoccupazione italiana. Come dicevo in principio, probabilmente le cause della crisi sono più complesse, vanno ricercate nel sistema che forse ha fatto il suo tempo ed è destinato a riformarsi se vuole sopravvivere.
La condizione di disoccupato non necessariamente determina un atteggiamento di devianza sociale ma non è un mistero che i livelli di criminalità sono più elevati nelle aree ove vi è più emarginazione inclusa quella dal mondo del lavoro.
Ritengo che la disoccupazione ed il lavoro precario in Italia sono fenomeni spiegabili da una molteplicità di fattori di difficile “generalizzabilità” poiché talvolta si spiegano dalla globalizzazione del mercato che non distingue le merci dalla forza lavoro, talaltra da fenomeni locali, primo fra tutti la criminalità organizzata. E’ indubbio che lasciare il controllo del territorio ad organizzazioni criminali che impongono le loro tasse sotto forma di “pizzo” e le loro leggi che prevedono sentenze di morte nei confronti di chi non si adegua, determina una forte depressione economica con conseguenti alti tassi di disoccupazione. La forza lavoro sottopagata che viene dai paesi del terzo mondo esiste quasi esclusivamente nei territori del sud Italia dove è la mafia che regolamenta il mercato del lavoro. Sono emblematici i recenti fatti di Rosarno dove, secondo fonti giornalistiche ben informate, sembra sia stata decisa la sostituzione della manodopera sottopagata dei neri africani con quella dei “comunitari” romeni ai quali si può più facilmente fare dei contratti a progetto di 3 ore di lavoro al giorno facendogliene poi lavorare 12-14. In uno stato di diritto questo non sarebbe possibile in quanto gli enti preposti al controllo non lo consentirebbero, ma chi fa questi controlli in Calabria? Non si può certo delegare tutto alla magistratura ed alle forze dell’ordine, le regole della civile convivenza sono prima di tutto una questione culturale che si forma con la buona politica e con l’efficienza di tutte le istituzioni pubbliche, prime fra tutte quelle scolastiche.
Ho appena finito di leggere la ricerca di Salvatore nella parte in cui spiega il funzionamento della banca mondiale. I paesi sottosviluppati vengono finanziati purchè adeguino le loro leggi statali ai principi del liberismo, gli si richiede la massima fiducia alle leggi del mercato che finiranno per migliorare la vita di tutti. Io ricordo molto bene ciò che veniva prospettato nel Novembre del 1996 al congresso mondiale della Fao a Roma:”riduzione del 50% delle persone sottoalimentate nel mondo”. Qualcuno già allora non credeva alla possibilità di realizzazione di questi propositi ed in effetti oggi ci ritroviamo con un mondo più affamato e disperato di allora. E’ evidente che le ricette della banca mondiale improntate sul liberismo più integralista non hanno giovato a nessuno, nemmeno al benessere della maggioranza delle persone nei paesi occidentali sviluppati. Io non sono a conoscenza delle agevolazioni doganali dei paesi sottosviluppati di cui parla Salvatore ma mi sembra un po’ paradossale indicarle come la causa della disoccupazione italiana. Come dicevo in principio, probabilmente le cause della crisi sono più complesse, vanno ricercate nel sistema che forse ha fatto il suo tempo ed è destinato a riformarsi se vuole sopravvivere.
La condizione di disoccupato non necessariamente determina un atteggiamento di devianza sociale ma non è un mistero che i livelli di criminalità sono più elevati nelle aree ove vi è più emarginazione inclusa quella dal mondo del lavoro.
“Le Donne delle donne” di Sabrina Marchetti
Chiedo alla Prof.ssa Daniela se il lavoro del quarto gruppo “Rapporto tra identità e comunità rispetto alla globalizzazione. Gli immigrati di seconda generazione” deve essere ancora pubblicato.
In alternativa ho letto il lavoro “Le Donne delle donne” di Sabrina Marchetti e ne consiglio vivamente la lettura a coloro che non l’avessero fatto. Senza svelare nulla del contenuto posso dire che l’oggetto della ricerca, per me, sono le differenze tra le donne dal punto di vista delle donne ciò spiega il titolo “ledonnedelledonne”. Per me questo lavoro è utile per completare i nostri studi sociologici in tema di pluralismo culturale e molto attinente con il lavoro del quarto gruppo. Questo lavoro descrive soprattutto una realtà socio-culturale dell’Italia dove necessità primarie si combinano con stereotipi nuovi ed antichi e dove si evidenzia la natura contrattuale della nostra società. Ma l’emancipazione della donna ha portato più vantaggi o svantaggi alla donna stessa? Penso che le conquiste sociali delle donne, tutt’ora in atto, abbiano portato la donna a confrontarsi con nuove problematiche che mi fanno pensare ad un eterna competizione con l’uomo e mi domando quando le donne si sentiranno finalmente soddisfatte? Spero che la soluzione non sia l’eliminazione o la riduzione in schiavitù del sesso maschile! La mia è una provocazione anche perché sono convinto che l’uomo e la donna sono le due metà di un unico corpo.
In alternativa ho letto il lavoro “Le Donne delle donne” di Sabrina Marchetti e ne consiglio vivamente la lettura a coloro che non l’avessero fatto. Senza svelare nulla del contenuto posso dire che l’oggetto della ricerca, per me, sono le differenze tra le donne dal punto di vista delle donne ciò spiega il titolo “ledonnedelledonne”. Per me questo lavoro è utile per completare i nostri studi sociologici in tema di pluralismo culturale e molto attinente con il lavoro del quarto gruppo. Questo lavoro descrive soprattutto una realtà socio-culturale dell’Italia dove necessità primarie si combinano con stereotipi nuovi ed antichi e dove si evidenzia la natura contrattuale della nostra società. Ma l’emancipazione della donna ha portato più vantaggi o svantaggi alla donna stessa? Penso che le conquiste sociali delle donne, tutt’ora in atto, abbiano portato la donna a confrontarsi con nuove problematiche che mi fanno pensare ad un eterna competizione con l’uomo e mi domando quando le donne si sentiranno finalmente soddisfatte? Spero che la soluzione non sia l’eliminazione o la riduzione in schiavitù del sesso maschile! La mia è una provocazione anche perché sono convinto che l’uomo e la donna sono le due metà di un unico corpo.
Risposta a vari vostri messaggi
Molti di voi mi hanno mandato e mail con la domanda : come studiare per l'esame? I contributi dei gruppi, specie quello del terzo settore sono più di duecento pagine...ecc.....
Bene , penserei che è importante la conoscenza di tutte le ricerche effettuate , questo significa leggerle e saperne parlare, ovviamente non nozionisticalmente parlando..
Un po' mi sta venendo in aiuto il vostro collega, che con ottima iniziativa, man mano, ci sta inviando " un motivo di riflessione personale " sulle letture delle varie ricerche.
Ringrazio quindi Salvatore Iannello per la sua iniziativa e collaborazione , a cui per altro, mi ripropongo di contribuire e rispondere attraverso il blog.( chiedo scusa della mia assensa durante la settimana, ma un problema di salute di mia sorella, mi ha allontanato dai miei impegni!)
Del resto il nostro Seminario e il nostro Blog, al di là del momento in aula e il momento "esame", dovrebbe essere e diventare proprio questo: riflessioni " non da bar " ma ragionate e studiate su argomenti che sono importanti della nostra vita civile, culturale,politica , economica..... Tornando ad una sana cultura della discussione e dell'informazione .... Le vostre ricerche devono essere considerate degli " approfondimenti fatti da voi su gli argomenti che per altro...avete scelto di studiare..."
Sarei proprio contenta quindi che questo strumento " il blog" trovi dopo il vostro esame , ancora "vita" e "estenzione di vita " tramite il vostro pensiero e il vostro lavoro " meditativo ed espressivo"...
Credo che i gruppi di lavoro crescano anche così, non solo per mero bisogno lucrativo...ma per spontanea necessità di lavorare, di creare idee, di saperle scambiare, in un contesto di persone che si stima e si rispetta con cui si tiene un filo di discussione e partecipazione. ...Anche così si cresce...con l'aiuto degli altri....e dando il nostro contributo...Quindi grazie a Salvatore !!
Bene , penserei che è importante la conoscenza di tutte le ricerche effettuate , questo significa leggerle e saperne parlare, ovviamente non nozionisticalmente parlando..
Un po' mi sta venendo in aiuto il vostro collega, che con ottima iniziativa, man mano, ci sta inviando " un motivo di riflessione personale " sulle letture delle varie ricerche.
Ringrazio quindi Salvatore Iannello per la sua iniziativa e collaborazione , a cui per altro, mi ripropongo di contribuire e rispondere attraverso il blog.( chiedo scusa della mia assensa durante la settimana, ma un problema di salute di mia sorella, mi ha allontanato dai miei impegni!)
Del resto il nostro Seminario e il nostro Blog, al di là del momento in aula e il momento "esame", dovrebbe essere e diventare proprio questo: riflessioni " non da bar " ma ragionate e studiate su argomenti che sono importanti della nostra vita civile, culturale,politica , economica..... Tornando ad una sana cultura della discussione e dell'informazione .... Le vostre ricerche devono essere considerate degli " approfondimenti fatti da voi su gli argomenti che per altro...avete scelto di studiare..."
Sarei proprio contenta quindi che questo strumento " il blog" trovi dopo il vostro esame , ancora "vita" e "estenzione di vita " tramite il vostro pensiero e il vostro lavoro " meditativo ed espressivo"...
Credo che i gruppi di lavoro crescano anche così, non solo per mero bisogno lucrativo...ma per spontanea necessità di lavorare, di creare idee, di saperle scambiare, in un contesto di persone che si stima e si rispetta con cui si tiene un filo di discussione e partecipazione. ...Anche così si cresce...con l'aiuto degli altri....e dando il nostro contributo...Quindi grazie a Salvatore !!
Contributo al lavoro del Terzo Gruppo: Criminalità e Disoccuapzione
Penso che merita una considerazione importante, come causa del lavoro precario e della disoccupazione in Italia, la tassazione eccesiva sul costo del lavoro dipendente per le aziende e per i lavoratori che hanno un potere di acquisto sempre più ridotto costretti a competere con la forza lavoro sottopagata dei paesi in via di sviluppo o in espansione, paesi favoriti anche da agevolazioni doganali per l’esportazioni.
I paesi occidentali non sono più in grado di produrre una reale ricchezza e sono prigionieri di una sovrapproduzione non più smaltibile sul mercato.
A ciò si aggiunge un’interdipendenza economica dovuta alla globalizzazione che in realtà è la dipendenza dalla finanza che non ha interesse a diffondere il benessere e per ultimo e non meno importante il “pizzo” che non fa decollare la piccola impresa nel sud Italia che è il vero valore aggiunto della nostra economia.
Collegare criminalità con la disoccupazione può voler dire: si diventa criminali perché si è disoccupati o perché si ha l’idea che il crimine sia un lavoro, questi due concetti apparentemente simili in realtà sono molto differenti, nel primo caso possiamo parlare di jus naturale ossia il diritto di poter usare qualsiasi mezzo per conservare la propria vita, nel secondo caso possiamo dire che l’uomo ha sempre fatto del crimine un vero e un proprio lavoro con l’unico scopo di arricchirsi facilmente.
I paesi occidentali non sono più in grado di produrre una reale ricchezza e sono prigionieri di una sovrapproduzione non più smaltibile sul mercato.
A ciò si aggiunge un’interdipendenza economica dovuta alla globalizzazione che in realtà è la dipendenza dalla finanza che non ha interesse a diffondere il benessere e per ultimo e non meno importante il “pizzo” che non fa decollare la piccola impresa nel sud Italia che è il vero valore aggiunto della nostra economia.
Collegare criminalità con la disoccupazione può voler dire: si diventa criminali perché si è disoccupati o perché si ha l’idea che il crimine sia un lavoro, questi due concetti apparentemente simili in realtà sono molto differenti, nel primo caso possiamo parlare di jus naturale ossia il diritto di poter usare qualsiasi mezzo per conservare la propria vita, nel secondo caso possiamo dire che l’uomo ha sempre fatto del crimine un vero e un proprio lavoro con l’unico scopo di arricchirsi facilmente.
mercoledì 3 febbraio 2010
Contributo al lavoro del Primo Gruppo. Al fine di stimolare il lavoro di gruppo tra i gruppi
Mi preme sottolineare leggendo il lavoro del primo gruppo il fallimento e la debolezza della nostra Costituzione, poco presa in considerazione, all’ora come tutt’oggi incapace di dare stabilità all’azione politica dei vari governi che si sono succeduti sino ad oggi. Governi che presentano una sola evidente caratteristica il “consociativismo“, che fa della politica italiana una politica “particolare” basata su interessi locali e sulla fiducia ristretta alla famiglia, male endemico del nostro paese dovuto ad una carenza di “civilness” ad una storia dei diritti antropologicamente a noi estranea, in quanto non riusciamo ancora a definirci una paese unito, la nostra unità nazionale è pur sempre il frutto di una guerra civile o meglio il frutto del coraggio di un uomo che aveva per amici “1000 camice rosse”.
Il passaggio dalla prima alla seconda repubblica non cambia la scena politica, è stato un modo per eliminare quelle persone scomode che miravano al vero cambiamento, con ciò non voglio dire che “mani pulite” non abbia agito in giustizia ma ha messo in evidenza solo alcuni brutti vizi della politica, è stata vinta una battaglia non la guerra. Il Berlusconismo è fenomeno negativo perché divide la società ma è anche un fenomeno positivo perché mette in evidenza come nel nostro paese non c’è più uno stato di diritto, dove i poteri, magistratura e politica, non difendono più la nostra Costituzione ma sono al servizio di particolari interessi e questa presa di coscienza, che si deve proprio a Silvio Berlusconi, dovrebbe essere maggiormente diffusa dai media (TV e Stampa) che da sempre sono stati al servizio del potere e solo in alcuni casi eccezionali al servizio della verità.
La protesta giovanile in Italia del 68’, e i movimenti giovanili in generale, è un fenomeno di tendenza legato a un preciso contesto storico-sociale che, nato sulla scia di quelli delle università americane e degli altri paesi europei, è l’espressione di una gioventù che non riesce più a riconoscersi nei valori tradizionali, è la prima vittima della globalizzazione culturale, è devianza che attraverso l’ideologia cerca strade diverse per la propria realizzazione individualistica, edonistica e narcisistica. Quando gli uomini credono veramente in ciò che credono gli uomini fanno le vere rivoluzioni (personalmente ne conosco solo una, iniziata circa 2000 anni fa e tutt’ora in essere”. Il tempo intergenerazionale è un tempo dove "cambiando l'ordine degli addendi....il risultato non cambia", le società storicamente cambiano idee, simboli, valori, credenze ecc. ma il risultato finale è sempre lo stesso, qualunque sia la società il mondo si dividerà sempre in “oppressori” ed “oppressi”.
Spero di non essere stato lapalissiano.
Salvatore Iannello
Il passaggio dalla prima alla seconda repubblica non cambia la scena politica, è stato un modo per eliminare quelle persone scomode che miravano al vero cambiamento, con ciò non voglio dire che “mani pulite” non abbia agito in giustizia ma ha messo in evidenza solo alcuni brutti vizi della politica, è stata vinta una battaglia non la guerra. Il Berlusconismo è fenomeno negativo perché divide la società ma è anche un fenomeno positivo perché mette in evidenza come nel nostro paese non c’è più uno stato di diritto, dove i poteri, magistratura e politica, non difendono più la nostra Costituzione ma sono al servizio di particolari interessi e questa presa di coscienza, che si deve proprio a Silvio Berlusconi, dovrebbe essere maggiormente diffusa dai media (TV e Stampa) che da sempre sono stati al servizio del potere e solo in alcuni casi eccezionali al servizio della verità.
La protesta giovanile in Italia del 68’, e i movimenti giovanili in generale, è un fenomeno di tendenza legato a un preciso contesto storico-sociale che, nato sulla scia di quelli delle università americane e degli altri paesi europei, è l’espressione di una gioventù che non riesce più a riconoscersi nei valori tradizionali, è la prima vittima della globalizzazione culturale, è devianza che attraverso l’ideologia cerca strade diverse per la propria realizzazione individualistica, edonistica e narcisistica. Quando gli uomini credono veramente in ciò che credono gli uomini fanno le vere rivoluzioni (personalmente ne conosco solo una, iniziata circa 2000 anni fa e tutt’ora in essere”. Il tempo intergenerazionale è un tempo dove "cambiando l'ordine degli addendi....il risultato non cambia", le società storicamente cambiano idee, simboli, valori, credenze ecc. ma il risultato finale è sempre lo stesso, qualunque sia la società il mondo si dividerà sempre in “oppressori” ed “oppressi”.
Spero di non essere stato lapalissiano.
Salvatore Iannello
martedì 2 febbraio 2010
Arriva anche il lavoro completo del 6° Gruppo
Lavoro del 6° gruppo : Quattro diverse condizioni della Donna a confronto: donna occidentale, donna islamica, donna orientale,donna africana
.http://sociologi.altervista.org/LA_DONNA_NEL_TEMPO.pdf
Mi dispiace che il gruppo non ha presentato per tempo il lavoro per essere discusso preventivamente in aula, perchè ci sono elementi che avrei volentieri affrontato insieme agli studenti tutti.
.http://sociologi.altervista.org/LA_DONNA_NEL_TEMPO.pdf
Mi dispiace che il gruppo non ha presentato per tempo il lavoro per essere discusso preventivamente in aula, perchè ci sono elementi che avrei volentieri affrontato insieme agli studenti tutti.
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